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From the critical essay Màn. Vietnam Street Heroines, MAO, Museum of Oriental Art, Turin 

 

Màn. Vietnam Street Heroines di Ottavia Castellina racconta un aspetto della società vietnamita servendosi di modelli iconografici appartenenti al passato. I dodici ritratti dipinti a mano dall’autrice, infatti, sono una rivisitazione contemporanea delle fotografie scattate in Oriente, in particolare in Giappone, da personaggi di rilievo quali Felice Beato, Ogawa Kazumasa o Kusakabe Kimbei, personaggi capaci, attraverso la loro produzione, di far pervenire fino a noi gli echi di una stagione straordinaria, pervasa da un forte spirito pionieristico e dalla profonda fiducia in un mezzo che, in pochi anni, aveva fatto irruzione nella vicenda umana, modificandola irreversibilmente.

 

Oltre agli esempi citati, talmente noti da esser inscritti in un patrimonio visivo ormai condiviso, il lavoro qui esposto ci impone anche di ricondurre lo sguardo entro specifici confini territoriali. Risalendo agli albori della storia fotografica del Vietnam, troviamo due esempi che qui assumono particolare significato: i dagherrotipi del fotografo francese Alphonse Jules Itier eseguiti nel 1844 per conto del diplomatico Théodore de Legrené e aventi come soggetti i soldati di Danang – materiali che, secondo alcuni studiosi, rappresentano le più datate testimonianze fotografiche del Paese – e il più antico ritratto di una donna vietnamita, realizzato in viaggio nel 1863 da Émile Gsell, titolare di un avviato studio commerciale a Saigon. 

 

L’esordio della pratica fotografica in locoe la sparuta presenza femminile, pur avendo una straordinaria valenza documentale, non costituiscono tuttavia le uniche componenti di rilievo. Ugualmente indicativa, ai fini della comprensione del progetto, è la provenienza dei fotografi: entrambi francesi, Itier e Gsell traducono con la fotografia un’attitudine squisitamente occidentale che mescola l’intenzione etnografica al fascino per l’esotismo. Attitudine assai lontana dalla sensibilità orientale, a cui Pham Phú Thú, assistente del consigliere di corte Phan Than Giàn, primo notabile vietnamita a posare in studio a Parigi nel 1863, dedica una breve riflessione nei diari di viaggio redatti durante la sua permanenza in Europa. Scrive dunque Pham Phú Thú: «Agli occidentali piace molto scattare. In generale, quando si sono appena incontrati, tutti vogliono le fotografie l'uno dell'altro per esprimere i loro sentimenti di ricordo eterno. Nobili e codardi, ognuno impegnato allo stesso modo».

 

Con Màn. Vietnam Street Heroines, fotografie meditate, impreziosite da un sobrio intervento pittorico, numericamente contenute,Ottavia Castellina riporta la sua ricerca alle origini di questo complesso rapporto con una cultura alta e altra,facendosi interprete di una tradizione etica ed estetica che, pur portandosi appresso pesanti sacche di criticità, deve alla fotografia il merito di essere stata – e continuare a essere – strumento di reciproca conoscenza.

 

 

 

From the critical essay 'Fotografia e viaggio' for the series of talks 'Immagini Sdoppiate' curated by Laura Manione at l'Universita' Popolare di Vercelli

 

 

Ho conosciuto Ottavia Castellina nel 2009 e collaborato con lei ad alcuni progetti che mi hanno permesso di analizzare il modo in cui pratica e usa la fotografia. Sia nel caso di lavori su commissione, sia per quanto concerne la ricerca personale, si riscontrano elementi comuni che consentono di trattare il complesso delle sue immagini come un unicum.

 

Il comune denominatore delle indagini fotografiche da lei condotte finora, oltre all'adozione di soluzioni tecnico-formali coerenti e di un linguaggio mai invasivo od ossessivo, risiede nel fornire risposte parziali a domande formulate sulle realtà con cui finora si è confrontata.

 

Nei suoi lavori l'osservazione e l'accettazione del mondo si sostituiscono al giudizio, costituendo la reale cifra stilistica del suo fare fotografia. Quello di Ottavia Castellina è uno sguardo mobile in grado di costruire una sorta di passaggio che conduce l’osservatore dallo spazio fisico a quello interiore. Duttilità “visiva” che trova la sua dimensione naturale nel viaggio o, meglio, nel concetto di déplacement.

Vivendo tra l'Italia e Londra, avendo condotto viaggi e residenze artistiche in Asia, Ottavia Castellina ha abbracciato una sorta di nomadismo intellettuale ed esistenziale che le conferisce la capacità di porsi questioni urgenti senza però pretendere risposte risolutive, accogliendo stimoli concreti per entrare con levità in comunicazione con soggetti eterogenei per età, cultura e provenienza.

 

Restando nel contesto del viaggio, vi è quindi un vero e proprio itinerario, percorso in solitaria, una linea che collega i primi lavori autobiografici, a quelli più recenti sui ritratti-wunderkammer e sulla condizione femminile in India e Indonesia. Linea che, formando una sorta di cartografia autoriale, unisce più punti: la sensibilità a cui ho già accennato, la sua formazione universitaria di storica dell’arte e la specializzazione in fotografia.

 

I lavori disseminati sulla mappatura espressiva di Ottavia Castellina, non sono gruppi di fotografie, sono immagini, picture, in cui converge la lunga vicenda iconografica che ci ha condotto alla contemporaneità e che, a pieno titolo, debbono rientrare in quel contesto artistico, estetico e autoriale che rifugge ogni facile maniera e di cui oggi si sente nuovamente la necessità. 

 

Laura Manione

 

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